Io sono il nulla inconsistente, incosciente, irresponsabile, indifferente, pazzo e coraggioso dell’essenza della vita. Io sono la luce che attraversa, inebria, abbaglia, anima, rianima, rinvigorisce, alleggerisce, illumina, gioisce, innamora, attrae, conduce, perde, cade…

Tu ridi, io pure. E’ tutto un ridere e un sorridere di tutto. Tutto così lietamente leggero, inoffensivo. Tutto sotto controllo. Il mio controllo, però, è solo un cagnolino che mi saltella con le zampette sulle gambe. Io nemmeno lo sento e mentre mi chiedo se mi piaci, è piccolo e leggero, talmente inconsistente che me lo dimentico pure. Non lo so se mi piaci ma adesso l’unica cosa che conta è il fremito che mi fai provare dentro al cuore. Sento i suoi battiti accelerati come quando si cammina ai bordi di un burrone che si evita di guardare. In equilibrio, piano, un piede avanti all’altro, con un piccolo sacchetto sulle spalle che mi porto dietro. Poche cose ci sono dentro, cianfrusaglie del passato di cui non riesco a fare a meno e una bussola che non mi orienta per niente perché non la so usare. Ho il naso all’insù e comunque sorrido, per quel fremito che mi si è insinuato nelle pieghe del cuore. L’aria intorno profuma di fiori e mi illude di avere di nuovo quell’età antica che credevo morta e sepolta. Sembra invece ancora viva, forse resuscitata. Tutta raggomitolata tra le spoglie di un io dei tempi andati, soppiantato da quegli altri io che, come da una costola di Adamo, da quello si sono distaccati. Clonati, sempre con qualcosa in più o in meno, fino a diventare altro da quell’io antico che sembrava morto. Mi fa invece camminare con l’aria sognante e rivedere le stelle che per un bel pezzo si erano nascoste. Le sentivo dietro le nuvole, ma la consistenza così ovattata del cielo, alla lunga, aveva attutito l’intensità della loro luce. Ora un soffio di vento ha d’improvviso sgombrato il campo. Di nuovo la luce quasi profuma, in questo cielo dentro al mio cellulare. Il vento è il mio dito, che sfiora con il suo tocco. Ho fatto scorrere le mie dita sul monitor e ti ho ripescato dal mare profondo. Eri lì a galleggiare in quella tua vita su Marte mentre io da Giove ti salutavo con la mano. Posso avere il tuo numero? mi hai urlato affinché la tua voce mi arrivasse pure da così lontano. Devo essere un po’ arrossita ma il fremito del mio cuore mi piaceva troppo per lasciarlo andare. La luce non era delle stelle ma di un’aurora boreale che, con le sue iridescenze colorate, stava tutta concentrata dentro il mio cellulare. Mi scorreva sotto le dita mentre pensavo cosa vuoi che sia sognare. Ho allora urlato anche io da lontano Ecco, mi senti? Segnati il numero del mio cellulare.

Disegno di copertina di Maria De Santis

Lettura di Germano Bonaveri

 

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