Il mio pensiero staziona da giorni nella nicchia di uno scrittoio e si accomoda pigro tra piccole cose belle, appoggiandovisi come un vecchietto stanco. Sono oggetti, le piccole cose belle disseminate intorno a me. Una candela a forma di fiore bianco, angeli di carta, l’occhio saggio di Buddha. Il mio pensiero staziona da giorni tra le cose, immobile come un oggetto inanimato. Lo guardo, lo osservo, ci giro intorno con lo sguardo e lo lascio lì, tra i soprammobili. Oggi l’ho guardato, la mia testa deve averlo ripreso tra le mani. Me lo sono sentito come un sasso, uno di quelli lisci che si raccolgono sulla spiaggia, appianato dall’andare e venire di chissà quanto mare. L’ho buttato allora nel lago calmo della sera e l’ho rivisto nei cerchi nell’acqua. Dal più piccolo al più grande il mio pensiero oggi era un sasso e tutti i suoi cerchi nell’acqua. Quello più piccolo, che all’umanità era restato davvero poco di umano prima del virus. Quello più grande, se la poca umanità restata all’umanità possa essere sufficiente a sconfiggere il virus. Tra uno di quelli intermedi, che l’uomo ha perso la capacità di sentire quello che prova il suo simile e che un po’ questo deve avere a che fare con la sua perduta capacità di ascoltare. Continuano i cerchi, si allargano, si espandono sul filo del lago calmo della sera. La paura è strana. Spesso è solo una parola a cui aggrapparsi quando per pochi secondi si resta in bilico sui precipizi del pensiero. Tra un salto e l’altro delle peripezie della vita, ci si può ritrovare per pochi secondi sul vuoto di un precipizio di un pensiero. Che magari, ecco, forse, quello che capita agli altri potrebbe capitare anche a noi. Che quello che capita agli altri è forse dietro l’angolo anche per noi oppure che, addirittura, potrebbe essere già in noi. Il virus è una buona metafora, un’efficace rappresentazione del precipizio di un pensiero. Che abbiamo un corpo perfetto, che ci sorregge però su un equilibrio delicatissimo e che può bastare davvero poco, può bastare un organismo infinitesimamente piccolo a incepparlo il meccanismo. A volte lo avvertiamo il brivido dell’altezza, il vuoto del precipizio. Per poco, pochissimo, perché poi basta fare un saltello per mettersi al riparo sull’altra sponda, oltre il pensiero. Prima che i cerchi scompaiono definitivamente sulla superficie piatta del lago, riesco a cogliere ancora quello, ormai un po’ indefinito, che il nostro sentirci inattaccabili da quello che accade agli altri non è che per distrazione. E che siamo talmente distratti da sentirci inavvertitamente eterni.

Immagine di Christian Schloe

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