Il male si intravedeva sfumato e indefinito al di là di vetri smerigliati. Iridescenze leggere ne confondevano i contorni che, mai nitidi, si disperdevano talvolta come pulviscolo in un raggio di sole morente. Si concentrava, questo, in una sensazione rotonda, poco spigolosa quasi di aria rarefatta, di penombra, di caldo estivo di un primo pomeriggio che anticipava quegli ultimi aneliti delle ore serali, più ampie, meno opprimenti, forse più ariose ed areate dalla brezza della sera. Si ricostituiva poi in fitte stilizzate, come disegni di china nera acuminata, fluente in punte fini tracciate nel candore di fogli immacolati e bianchi su traiettorie senza senso di qualcosa senza anima e senza scopo. Si disperdeva come il fumo di una sigaretta, odorando come posaceneri pieni di mozziconi aspirati fino al filtro. Temporeggiava in polvere scura impalpabile e leggera prima che un soffio di qualunque vento lo riversasse in un qualunque cielo, forse anche quello azzurro, bello, delle infanzie serene. Si rianimava qui in scorribande dall’aspetto giovanile, nelle corse a pieni polmoni delle nuvole bianche, per poi finire spettinato e stanco a specchiarsi nelle pozzanghere scure di acqua piovana caduta giù in temporali e acquazzoni degli autunni inoltrati. Si deformava sull’asfalto come  l’ombra allungata delle persone, nei chiaroscuri più che nei colori accesi ma non disdegnava nemmeno questi, anzi… talvolta con questi si rinvigoriva, si anabolizzava, si gonfiava. Imperterrito si riproponeva sbucando dai silenzi freddi delle lapidi amorevolmente lavate in mattinate terse e piene di sole. Si ridestava in queste, lento, tremolando nei lumini fiochi, scorrendo pure nei tubi caldi delle fontanelle sotto al sole, dimenticate in fondo a viali di mattoni rossi, da attraversare tra scale, contenitori bianchi di varichina ripuliti e gambi di fiori secchi e spezzati. Si lamentava spesso sotto il sole cocente delle ore più calde, guardando al largo la schiuma bianca del mare agitato dal vento a mezzogiorno per poi compatirsi nascosto nei meccanismi di un letto in una stanza piuttosto ampia di ospedale. E mentre si concentrava, si ricostituiva, si disperdeva, si rianimava, si rinvigoriva, si anabolizzava, si gonfiava, si riproponeva, si ridestava, si lamentava e si compativa, se ne sarebbero potuti scorgere i connotati nella trama vitale. I lineamenti ingranditi con una lente milioni di volte. Gli sguardi fissi senza umanità di quelle sue cose come occhi umani. Nel parallelo al contrario lì dove cellule infinitesimali disseminate sui sentieri interni, trasportate e alimentate da gocce di sangue, da piastrine, forse globuli rossi piccoli e rotondi, ansimanti e stretti in abbracci e incroci funesti, in innesti e incesti contro natura, si aggrovigliavano come fili riposti malamente, l’uno sull’altro a frenare e a tirare inesorabilmente i remi in barca del fluire della vita.

Primo premio del concorso letterario “Racconta le parole” IV edizione 2022 organizzato da Xilema

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