In una giornata di quasi primavera il mio pappagallo verde si confondeva tra i rami ancora spogli che si stagliavano contro il cielo, questa volta azzurro e terso. Se ne stava tra quei rami, aspettando con pazienza la vicina fioritura. Una rinascita vicina, avvertita nell’aria. Che inebriava con i suoi profumi anche i cuori più duri, anche il suo, sicuramente ingrigito dal bianco e nero dell’inverno appena trascorso. Lui se ne stava su quel ramo svettante, mimetizzato come una macchia scura tra cielo e terra, indeciso sul da farsi: spiccare il volo, restarsene a meditare sul ramo, occasionalmente distribuire alla sprovvista un po’ di fortuna in giro sulle teste dei passanti.

Dal canto mio, lo osservavo cercando di metterne a fuoco la sagoma tra i rami. E nel tentativo di immortalarlo ancora, questo pappagallino simbolico che mi piace tanto, ho invece fermato l’azzurro del cielo al di là dei rami. Un azzurro che quando lo guardo mi ricorda l’azzurro di alcuni cieli di quando ero bambina, di quando appunto la primavera era ancora una promessa ma che ormai il cuore sentiva che sarebbe stata mantenuta. Così quel cielo azzurro ritrovato in una foto, per un momento, mi ha fatto ritornare bambina, facendomi sentire addirittura i profumi che sentivo allora nell’aria. E ho ripensato a Giulio che stamattina mi raccontava di quando a scuola vanno a tagliare l’erba e lui sente un buon profumo di campagna. Ed io gli ho detto che forse un giorno, quando sara’ grande, lo risentirà quel profumo, magari dopo la pioggia, e si ricorderà di questi giorni della sua infanzia. E ho pensato a quanto bella sia questa cosa della memoria, di questo intreccio di odori, colori e ricordi che a volte risvegliano così intensamente il cuore.

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