Oggi tutti vanno in giro cercando di fidelizzare il mondo. L’obiettivo più comune di questi tempi è quello di “rendere fedele stabilmente un cliente”. Fidelizzando, creando fedeltà. Un concetto a cui ho sempre attribuito una connotazione sentimentale che, non so ne’ come ne’ quando, si è trasformato in uno strumento, una strategia di marketing. Qualcosa, dunque, di materialistico. Fedeltà come mezzo opportunistico. Fedeltà come opportunità di arricchimento. Fedeltà per vendere, conquistare. Mercati, nicchie, target di consumatori. E quindi persone. Anime da rendere fedeli a prodotti, servizi, persone. Venduti tutti e sempre come cose senza anima. Ovunque mi giri, un impegno costante e senza sosta a creare, produrre fedeltà.

Mi guardo l’albero spoglio dalla mia finestra che ha cominciato a riempirsi di foglie. E mentre penso a questo nuovo concetto di fedeltà, mi rendo conto di essere comunque fedele a quella me stessa che ancora si sente fedele a banali emozioni fini a sé stesse. Anacronisticamente fedele, anche ad uno scorcio di vita che intravedo da questa finestra. Fedele al pappagallino verde che non ha niente da vendere. Che finalmente in primavera può ricominciare a sorridere alla vita. A sentirsi verde e non più fuori posto tra i rami verdi di un albero non più spoglio. E mi sento, anche se solo per un attimo, un po’ felice per questo.

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