Scrivere non è semplice. E tutta la mia ammirazione la riservo a chi riesce a farlo bene e anche a viverci di scrittura. Questo è quello che avrei voluto fare  nella mia vita. Perché io sono un po’ come quelle persone che, avendo avuto la possibilità, l’occasione, la fortuna, la pazienza, il destino, o come dir si voglia, di fare quello che amano e viverci, dicono agli altri “non avrei potuto fare altro che questo nella mia vita”.

Ecco, anche io sarei arrivata a dirla questa cosa se la necessità, la poca convinzione, la mancata possibilità, il poco coraggio o il destino o come dir si voglia non mi avessero condotto su strade diverse dove poi, invece, qualcos’altro l’ho fatta. Perché in fondo, quello che penso, è che l’essere umano si adatta a tutto.

Detto questo, io ho sempre scritto. E non è che poi un bel giorno mi sono alzata e ho detto “Sai che c’è…oggi voglio fare la scrittrice”. No, direi che non è andata proprio così. Diciamo che da bambina ho cominciato ad avere questa passione che ho coltivato sempre con più o meno costanza nel tempo, ma segretamente. Tra me e i miei diari, tra me e qualche scritto che al massimo ho fatto leggere alle persone a me più care.

Poi un giorno lessi questa cosa di Fabrizio De Andrè: “Benedetto Croce diceva che fino a diciotto anni tutti scrivono poesie e che, da quest’età in poi, ci sono due categorie di persone che continuano a scrivere: i poeti e i cretini.”

Quella frase mi colpì profondamente perché, a causa di ataviche insicurezze che non sto qui a spiegare, ho avuto sempre il timore di poter appartenere alla seconda categoria piuttosto che alla prima. O per meglio dire, il timore di rischiare che qualcuno potesse pensarlo. Così, se fino ad allora avevo avuto remore e titubanze, con quella frase non ho avuto più dubbi. E se addirittura De Andrè si è “rifugiato prudentemente nella canzone”…

Diciamo che, in fondo, un rifugio l’ho trovato anche io, e dove meno mi sarei aspettata di trovarlo. Infatti io mi sono rifugiata nell’altro da me. Nel quale, in fin dei conti, sono vissuta piuttosto serena, se non fosse che ogni tanto mi ci è sempre piaciuto rifare capolino nella mia essenza più profonda.

E però, che fatica…

Ora, detto questo, un po’ mi piacerebbe spiegarlo che per scrivere, e quantomeno tentare di farlo bene, nella maggior parte dei casi, ci vuole tempo. Tempo e fatica. E a volte ci vogliono addirittura gli anni. Stefano D’Arrigo, che ha scritto uno dei libri più belli che io abbia letto, ci ha messo vent’anni per farlo quel libro. Vent’anni in cui ci si è quasi ammalato di testa.

Per scrivere, e farlo bene, ci vogliono lunghi momenti di tentativi, di modifiche, di cancellazioni, di riscritture, di letture e di riletture. Per arrivare, nella maggior parte dei casi, ad avere qualche cassetto pieno di queste versioni di prove di libri, di racconti, di diari e via dicendo che, se non sei nessuno, probabilmente nessuno leggerà mai.

Poi però mi do una guardata intorno, o per meglio dire, una “lettura” intorno e scopro che il mondo è pieno di scrittori. Che tantissima gente ha tantissime cose da raccontare. E che lo fa senza tutte le analisi e controanalisi che mi faccio io. Che lo fa senza chiedere il permesso. Senza farsi domande. Senza remore. E senza nemmeno troppi scrupoli. E mi chiedo allora se tutta questa sfrontatezza nasca dall’urgenza di confrontarsi con il mondo e dare un senso a sé stessi oppure per un’altra urgenza, sempre più dilagante, di mostrarsi, apparire, dandosi in pasto ad un mondo che ci mangia e ci digerisce nel lasso di tempo di un like su un qualunque social network. Un mondo dal quale sembriamo tutti prendere le distanze, a cui forse per “snobberia” non ci piace assomigliare ma da cui tentiamo spasmodicamente di non essere tagliati fuori.

A volte, lo ammetto, mi sono sentita sopraffatta dal fiume in piena di tutte le parole sprecate, vuote, insulse e sproporzionate che si riversano al mondo e nel mondo. Da quella insana logorroicità di chi si stordisce da solo con il suono della propria voce. Dal quantitativo esagerato di concetti da esprimere ad ogni costo. Da chi pretende di parlare al mondo con presuntuosi ed artificiali monologhi chiari solo a sé stessi o con storie che, sinceramente, sembrano il testo libero di quando andavo alle elementari.

E dico questo non per “snobberia” e nemmeno presunzione. Lo dico per rabbia. Perché tutto questo mi appare come una beffa. Perché, davvero, forse c’è da dirlo che ho sbagliato tutto nella vita. Che io sono arrivata a quarantasei anni chiedendomi, da quando ne avevo sette, se era il caso di far leggere le mie cose al mondo, fosse stato anche, questo mondo, una piccola cerchia di amici che mi avrebbe letto per affetto.

Ma beffa o non beffa, è così che è andata e, al contrario di altri, non avrei davvero potuto farlo prima. Perché l’anima non è una cosa semplice da mostrare. E scrivere per me è un po’ scoprirla la mia anima. E mi ci sono voluti quarantasei anni di vita per arrivare ad oggi, che pur non essendo affatto risolta come persona (e chissà se mai lo sarò), sono diventata solo un po’ più coraggiosa.

E’ anche per questo che il mio racconto l’ho fatto leggere a puntate mentre lo so bene che era da leggere tutto insieme, per chi ne avesse avuto voglia, tutto d’un fiato. Perché avevo bisogno di mostrarlo un po’ per volta. E lo so che non è un capolavoro. Davvero, ci sono stati momenti che mi ha fatto quasi vomitare (nel senso che non ne potevo proprio più di leggerlo e rileggerlo). Però è il mio racconto. E ci ho messo impegno, come ogni cosa della mia vita.

E tutto qua, lo volevo solo precisare e visto che qualcuno mi ha chiesto di rileggerlo per intero, lo ripubblico per intero con questa premessa che spero non abbia annoiato nessuno e dalla quale colgo l’occasione per ringraziare chi lo ha letto il mio racconto ed in particolare quei miei amici che mi hanno scritto cose belle davvero e che davvero mi hanno riempito di gioia, dandomi il coraggio di raccontarne altre di storie, pur non essendo, ahime’, una scrittrice.

Per le questioni importanti della vita, poi, direi che mi basta pensare a mio fratello Giamma e a Lucia o alla mia amica Francesca. E così, non solo per dire, tutto si rimette dove deve.

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5 thoughts on “Il mio racconto – considerazioni”

  1. Ale ma perché mi fai sempre commuovere ??? Questo blog è la dimostrazione pratica di quello che io ho sempre pensato di te : che la tua anima è di scrittrice. Fregatene del mondo e dei suoi commenti!! Ti ammiro per le tue doti e, sia che ti legga uno o che ti leggano in tanti, quello che tu dici, e come lo dici, è il frutto di un talento che non devi dissipare mai perché già appartiene all’umanità.

  2. E allora metti il coraggio in poppa, perché non hai più sette anni, ma solo 46 e regalaci un’emozione da leggere tutta di un fiato. Sei un talento e i talenti non vanno tenuti chiusi e celati in un cassetto! E come direbbero al nord.. Jamm bellllll✌️😘

  3. È davvero così… ci si emoziona fino alle lacrime, incontenibili, forti, che vogliono uscire attraverso gli spazi che aprono le tue parole…

    È davvero così… hai appena 46 anni e non ti sei ancora svelata…

    È davvero così … “Scrivere non è semplice. E tutta la mia ammirazione la riservo a chi riesce a farlo bene ”

    Grazie
    gl

  4. Mia cara Alina pensavo di conoscerti bene,anzi benissimo,ma l’animo umano,non si conosce mai fino in fondo. Non essere dubbiosa, continua così. Anche se siamo in pochi a leggerti,ci riempi di gioia.Te lo dico io e ci devi credere.

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