Tra il sonno e la casacca appesa alla veglia, lo gnomo sa che un bambino è l’occhio di Dio. Un piccolo pezzetto delle sue mani. Un ritaglio dei suoi piedi. Il suo sguardo è una nuvola rosa dove gli angeli dormono in pace.
Un giorno anche lui è stato un pezzetto di Dio, e animato da questo sospetto, se ne sta chino a scavare pale cariche di memoria. Alla ricerca di un luogo lontano, chiuso nel pugno di una piccola manina. L’odore del rispetto si arrampica nel suo lungo naso. E dal punto più alto si tuffa nel mare nero del suo cuore. Lì dove non si invidiano più gli uccelli perché sanno volare.

E’ stato così che lo gnomo e il bambino fatto di Dio si sono incontrati. Al centro della memoria, in silenzio, senza parole. Ore di vita, immobili come statue di sale. Sguardo nello sguardo, a rinnovare l’antico patto stretto con il fuoco del pensiero. Si sono fusi tra loro, l’uno dentro l’altro e l’altro dentro l’uno, trasformandosi in un arcobaleno che ha dipinto il cielo.

Intanto, tra suoni di grilli diretti da uccelli cinguettanti, l’estate ha fatto un bello sbadiglio. Si è data una sgranchita, specchiandosi in una pozzanghera colorata. La stessa dove un arcobaleno ha nuotato per qualche momento. Poi, insieme al suo gnomo e bambino fatto di Dio, è fuggito veloce, lasciando nella pozzanghera un acquerello sfumato. In un allegro girotondo bagnato, hanno danzato fino a che un colpo di tosse del vento li ha gettati in un tombino. In un nero fatto di buio e improvviso silenzio.

L’arcobaleno di gnomo e bambino fatto di Dio si è accasciato su sé stesso e sulla sua triplice essenza rimasta in bianco e in nero.
Senza il coraggio di guardare quelle lacrime senza colori, ha pianto per lunghi momenti. In una tristezza profonda, e pesante molti chili di niente. L’allegria, salita sul primo treno espresso, salutava da lontano con un fazzoletto bianco.

In quel tombino nero lo gnomo si accorge che il bambino non è più fatto di pezzetti di Dio. Assapora l’amaro delle lacrime vuote dell’arcobaleno. E capisce di essere caduto nel luogo oscuro di una guerra.
Da lì ricorda quel giorno indeciso in cui fu seppellita la speranza. Vestita di bianco in una bara nera. Dal cielo una pioggia di lacrime grigie inondava la strada.

Nel nero tombino l’estate si guarda bene dal passare e i perduti colori, sfavillando, brillano e fibrillano, illuminando cieli, prati e mari. E in tutto quello sfavillare e illuminare, non c’è proprio tempo per pensare. Ai neri tombini e agli arcobaleni incolori. Danzando al ritmo del tempo, se ne vanno in giro per le vie del mondo. Furtivamente un pensiero li ammonisce ma senza troppo vigore.

Lo gnomo è per sua natura un essere saggio. Sa bene che al di là della grata i colori sono stati distratti. Attratti da false promesse, sono volati via trasformandosi in fiori profumati. Sa anche che i sorrisi dei bambini sono diventati fette di luna e piccole stelle. Tutte le notti nel cielo a ricordare. Del tempo in cui erano pezzetti di Dio da rispettare.

Il piccolo gnomo, avvolto dalla sua coperta di buio, si incammina in chilometri lunghi di sonno, mentre suoni lontani, riecheggiando vaghi, gli raccontano storie sulla ragione. Di quando ligia al dovere, se ne stava su una vetta a monitorare. Fino a quando per un accidente cominciò a stradire e quando era zitta non faceva altro che rimuginare. Improvvisamente invecchiata, si accorse di non avere più buoni motivi. Per convincere il mondo di quanto fosse ancora necessaria. Rimasta sola, infelice e invecchiata, pensò bene di buttarsi in un burrone. Dove lentamente cominciò a morire.

L’indifferenza continuò oziosa a fumare. E appoggiata al muro del mondo, a riempire le sue stanze di fumo. Molti se ne stavano svegli a dormire. Solo pochi riuscivano ancora a vedere. Divenuti piccoli, e con le orecchie a punta, si rifugiarono nei comignoli delle case, da dove decisero di rimanersene fissi a guardare.

Primavere ricche di fiori.
Estati sonnecchianti all’ombra del sole.
Autunni mogi carichi di foglie.
Lunghi inverni bianchi di neve.

 

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