Ciascuno dei nostri amici ha talmente i propri difetti che, per continuare a volergli bene, siamo costretti a uno sforzo per consolarci di essi pensando al suo ingegno, alla sua bontà, al suo affetto o, piuttosto, a ricorrere a tutta la nostra buona volontà per non tenerne conto. Purtroppo, la nostra compiacente ostinazione a non vedere il difetto dell’amico è inferiore a quella con cui egli vi si abbandona, a causa della sua cecità e della cecità che attribuisce agli altri. Perché il suo difetto egli non lo vede o crede che gli altri non lo vedano. Siccome il rischio di dispiacere deriva soprattutto dalla difficoltà di capire che cosa passa o che cosa non passa inosservato, si dovrebbe almeno, per prudenza, non parlare mai di sé perché è un tema sul quale si può essere certi che la vista degli altri e la nostra non concordano mai. Se quando si scopre la vera vita degli altri, l’universo reale sotto l’universo apparente, si hanno le stesse sorprese che nel visitare una casa dall’aspetto qualsiasi e internamente piena di tesori, di grimaldelli e di cadaveri, non meno stupiti si resta se, in luogo dell’immagine che ci si era fatti di noi stessi grazie a quello che ognuno ce ne diceva, si apprende dal linguaggio usato dagli altri nei nostri confronti in nostra assenza quale immagine del tutto diversa portino in sé di noi e della nostra vita. Di modo che, ogni qualvolta abbiamo parlato di noi, possiamo essere sicuri che le nostre inoffensive e prudenti parole, ascoltate con cortesia apparente e con ipocrita approvazione, hanno dato origine ai commenti più esasperati o più divertiti, in ogni caso tutt’altro che favorevoli. Il meno che si rischi è di infastidire con la sproporzione che c’è tra il concetto che abbiamo di noi stessi e le nostre parole: sproporzione che rende, di solito, i discorsi degli uomini su di sé altrettanto risibili dei canterellii dei falsi amatori di musica, i quali provano il bisogno di accennare un motivo che amano, compensando l’insufficienza del loro mormorio inarticolato con una mimica energica e un’aria ammirativa per niente giustificata da quel che ci fanno udire. E alla cattiva abitudine di parlar di sé e dei propri difetti bisogna aggiungere l’altra, che fa blocco con essa, di denunciare negli altri difetti esattamente analoghi ai nostri.

Marcel Proust – Alla ricerca del tempo perduto – All’ombra delle fanciulle in fiore

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