Mi chiedo se nella stanza 414 del Grand Hotel di Cabourg, in Normandia, sia rimasta traccia del respiro di Proust oppure se questo se ne sia volato via per sempre con lui, nonostante la ricostruzione di un ambiente fedele allo stile dei suoi tempi.

Quel che resta sarà forse solo qualche impronta di quel tempo passato di là e ormai andato, che ci si illude di  riafferrare mentre lo si rincorre a ritroso giocando  con lui a nascondino.  E’ un tempo che non si può fermare, immobilizzare e nemmeno ritrovare. Come il respiro di Proust e le ore,  i giorni e i mesi dei suoi sguardi verso il mare e dei balzi e sobbalzi del suo cuore.

Che fortuna che li abbia raccontati scrivendo e menomale che esiste un Grand Hotel nella Normandia dell’anima, lì dove la sua Balbec immaginaria si raggiunge senza moto a luogo e senza fare le valige.

E lì … oh se si ritrova il suo respiro e pure tutte quelle sue ore di sguardi al mare e quelli al cielo dai  finestrini del treno, a rincorrere il rosa dell’alba che dopo una curva sembra temporeggiare ancora nel nero della notte, o a fissare il luccichio dei bottoni argentati della divisa di un controllore, nell’attimo in cui la perfezione è sospesa e in bilico e rischia di precipitare sulle rotaie, al minimo movimento del corpo quando, come sotto l’effetto di una lieve ubriacatura che alleggerisce la vita, ci si dimentica  di averne uno, e si vuol sentirlo poco o niente e che, per questo, è fermo in quella posizione inclinata e di sbieco in cui la vita scorre dentro come le immagini fuori, fatte di paesaggi e raggi di sole, e lineamenti di una ragazza che da un casolare porta del latte per i viaggiatori.

Oh, se la ritrovo la nostalgia per quel controllore e le sue mille vite immaginate,  dei giorni e delle ore da lui trascorsi su un treno o quella per paesi intravisti solo nei nomi delle insegne delle stazioni,  con gli orologi, i binari e gli attimi di vita, rubata furtivamente con gli occhi, dei suoi abitanti, almeno  fino dietro l’angolo in cui scompaiono per sempre mentre lo sguardo resta fisso sulla tendina calata fino a metà del finestrino,  azzurra, come quella di Proust, che sfuma nel verde della campagna che entrava invece nei miei occhi nei mille viaggi nei treni, lì dove mi ricordo di averla vista, sentita, vissuta e respirata anche io la Normandia e gli schizzi bianchi del suo mare e il suo profumo di sale e di vento che scompiglia i capelli, anche quando il mare azzurro e bianco era solo un vestito  azzurro come un acquerello che rispuntava da qualche giornata di sole e Cabourg e la stanza 414 del suo Grand Hotel, il vagone del mio treno con l’aria viziata e pure pieno di fumo.

Pensando a Proust…Alla ricerca del tempo perduto – All’ombra delle fanciulle in fiore

Foto  di copertina di Alice Ioffredi offwd.archive

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