Alle sette di sera me ne vado di palo in frasca, se non proprio fisicamente quantomeno con pensieri saltellanti che si arroccano prima su un palo per poi spiccare il volo verso una frasca della mia testa. In questa magnifica serata di settembre, con quell’aria un po’ così alla fine del giorno, non fa più caldo e non si avverte il minimo fresco. Una sorta di equilibrio perfetto meteorologico che mi fa amare, per una manciata di secondi, molto la vita. Cammino con incontro il mondo che stasera sembra essere molto prolifico di gente che corre, che cammina, che parla. Tutta incontro a me su queste ritrovate strade di Roma post estate e che, a cospetto di tanta umanità, mi inibisco nella mia pratica della registrazione di un messaggio vocale. Mi dico che in altri tempi parlare da sola sarebbe parso strano, ci sarebbe stato sì da inibirsi con parecchi sguardi addosso indagatori sulle mie condizioni mentali. Ma erano, appunto, altri tempi, ere geologiche fa. Ora da soli ci parlano tutti, che vuoi che importi alla gente delle mie registrazioni. Salto dunque sulla frasca della mia autoironia. Che francamente dal palo dell’inibizione sembra prendere le distanze, non c’entra proprio un fico secco. Mi soffermo su questo concetto che da un po’ mi si ripropone e cioè che devo avere una notevole dose di autoironia per sfidare così apertamente i miei limiti, per insistere con questa insistenza tutta tipica della capocciona cornutissima da capricorno che ho. Mi riascolto nei miei ragionamenti che ostinatamente ritengo di dover condividere con il mondo per il tramite della mia voce. Martello sul concetto che ci devo mettere la faccia, che è poi  la mia voce, che  devo, cioè, essere io mentre parlo e se parlo male mentre cerco di riportare un pensiero, un ragionamento o un mio sentimento spontaneo, poco male visto che quel che conta è il pensiero, il ragionamento, il mio sentimento spontaneo e qualcuno è pur probabile che ci si connetta con questi, pure se parlo male. Autoironia mi pare la questione giusta, quel senso di ilarità che a volte mi becca al posto dell’imbarazzo per aver detto così o coli. Ma io non è che mi prenda in giro con questa autoironia. Tutt’altro. Sono così convita che posso sorridere con tenerezza di me stessa. A volere esagerare ci metterei in mezzo ancora mia madre perché è lei che me lo ha insegnato lo sguardo tenero verso le mie debolezze e ora che non c’è più, quello sguardo suo deve per forza diventare il mio per sopravvivere. A volte, davvero, è come se i suoi occhi si sovrapponessero ai miei. Così rispetto alle cose strane che faccio, a quelle sghembe, a quelle un po’ bizzarre, l’autoironia mi consente di alleggerire il mio peso nel mondo. Alla fine non a caso si dice che la gente si prende troppo sul serio. C’è il rischio concreto di rimanere schiacciati, forse addirittura sepolti, sotto il peso della serietà con il quale si crede si essere destinati a stare al mondo. Sempre all’altezza, sempre sul pezzo, sempre dalla parte giusta, sempre sulla riga, mai sotto, né sopra. Che grande fatica, che sforzo immane sottrarre tutta questa energia a quella che potrebbe essere la vita. Stasera, lo confesso, mi sento come il passerrotto del detto. Passo di palo in frasca che mi pare la cosa si adatti molto bene alla leggerezza dell’aria. A parlare di autoironia mi viene in mente se questa possa mai convivere con la dannata permalosità che mi contraddistingue, con la suscettibilità. In effetti non mi convince questa faccenda che uno che per sé stesso riesce a prendere le dovute distanze, non riesca poi a farlo quando c’entrano gli altri. Insomma, la questione la liquido lì, che non è che mi va poi tanto di approfondirla: siccome sono un essere umano e sono contemporaneamente autoironica e permalosa concludo, per la proprietà transitiva, che nell’animo umano le due vicende possono tranquillamente convivere. Poi però ci rifletto meglio e, a posteriori, concludo che le due questioni sono proprio il palo e la frasca visto che l’autoironia c’entra con la tenerezza verso sé stessi mentre la permalosità con la difesa dall’aggressione degli altri.

 

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