…Diciotto aprile duemilaventitrè…

I baffi di Proust

Pensavo a Proust, un distinto signore francese di un’altra epoca. Cosa poteva avere a che fare con quello che un uomo moderno prova e sente nella vita? Un uomo con un solo cuore che a stento capisce, lì dove lui a me sembrava davvero averli avuti tutti i cuori del mondo e, fino in fondo, capiti. Ci pensavo e ripensavo. Folgorata, mi crogiolavo, stazionavo nel pensiero. Mi ci mettevo sopra come una barchetta a remi al tramonto, fatto del profumo rarefatto delle pagine che leggevo, delle atmosfere che da quelle si respiravano. E lì, sul lago calmo del pensiero mi veniva in mente che Proust fosse proprio uno stato mentale, uno di quelli che ti sublima la realtà, ti sospende il tempo, ti espande nello spazio. Un teletrasporto che mi catapultava dal divano direttamente su stradine brecciate, con il sole di fronte a rispuntare da dietro le nuvole estive dopo che la pioggia ha bagnato la campagna circostante che profuma di terra e di fiori e il campanile della chiesa di un ignoto paesino, svetta nel cielo, rimarcando il roseo di un tramonto. Me ne andavo ragionando che sì, Proust poteva ben dirsi una modalità del cervello. Una cosa del tipo: “Oggi sono in modalità Proust”. Cose un po’ bizzarre da comprendere, che uno poi ci deve proprio nascere in modalità Proust per capire quello che volevo dire. Come Stefania, che mentre gliene parlavo, lo capiva al volo quello che volevo dire. E oltre ai disegni inquietanti mi disegnava pure i baffi, di Proust.

Disegno di Stefania Mirra – I baffi di Proust

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