Devo tirare le fila nel mentre mi si approssimano varie conclusioni, quelle di un libro, quelle di un discorso, quelle di una cura. Sicché sembrerebbe tutto un convogliare verso una meta che a volerla visualizzare chiudendo gli occhi per parlarne mi appare come il buco nero di una spirale in movimento. Un vortice, una tromba d’aria grigia e polverosa che offusca e confonde tutto. Se mi mettessi a parlare ora, partirei da a, toccherei c, tornerei indietro a b, salterei a d, correrei a z, rimbalzerei su s, zigzagando su f e su g. Il tutto cantilenando, ripetendo, zoppicando, interrompendo. Cosicché meglio guardare il foglio bianco e riflettere con il sottofondo della sonata n. 9 di Beethoven, La sonata a Kreutzer “Conoscete il primo tempo, il presto? Lo conoscete?  Oh! Oh! Esclamò. Tremenda cosa questa sonata! E in generale, tremenda cosa la musica!” Quando si tratta di libri mi sembra ogni volta di entrare in un mondo parallelo, di seguire un percorso fantastico lastricato di coincidenze e di fatti, particolari e piccoli frammenti di cose che ogni volta mi piace guardare con la lente di ingrandimento della meraviglia. Il che mi fa ricordare una serata di tanti anni fa quando, passeggiando per un mercatino, io e Antonio ci imbattemmo in uno stand che vendeva troll norvegesi. Tra miti e leggende, questi se ne stavano esposti a guardarti da sotto sopracciglia cespugliose, con capelli scompigliati, code e mani pelose. La leggenda narrava che fosse il troll a sceglierti e non tu a scegliere lui. Cosicché  io me li guardavo tutti con attenzione, in attesa di quell’incrocio di occhi, di quel segno preciso, la scintilla, il colpo di fulmine che mi facesse capire quale di loro mi avesse scelto. Fu, se non ricordo male, amore a prima … no forse a seconda (ma probabilmente anche a terza) vista ed oggi è ancora al suo posto, accanto al troll che evidentemente dallo scaffale di quello stand aveva puntato Antonio. A volte ho come la sensazione che i libri siano come quei troll norvegesi, che mi scelgano, mi chiamino dalla libreria di casa mia oppure da qualche luogo lontano che per magia si avvicina al mio mondo. Ecco allora che sul finire di questo racconto di Tolstoj un altro libro mi ha puntato dritto agli occhi. Lo ha fatto per mezzo di quelli di azzurri di Elettra, mia dirimpettaia su una poltrona arancione di un luogo di cui sembra sempre troppo presto per dire, con la quale si è parlato di libri, di donne, di uomini e di potere. Così, nel mentre si dovrebbero tirare le fila di un discorso, si sfilano di nuovo  le maglie intrecciate dei pensieri, dai quali si intravedono sentieri, forse di fili conduttori da seguire.

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