La forza si era fermata a un passo. Era così vicina che la si poteva quasi toccare. In realtà si sarebbe potuta al massimo sfiorare ma un effetto ottico confondeva, distoglieva dalla effettiva distanza. Gravitava nell’orbita dell’universo parallelo, lambiva, costeggiava, spuntava e poi di nuovo spariva. Si intravedeva riflessa sulla base lucida di un bel comò di legno, antico, restaurato e anche bello, con i cassettoni di asciugamani buoni del corredo, tra merletti, lenzuola matrimoniali di lino bianco e saponette profumate.  Aveva occhi chiusi mentre meditava su respiri cadenzati e profondi, tutto sommato ispiranti, sulle fragranze di quei bei profumi delicati, buoni sentimenti. Sulla scia di questi respiri ispiranti buoni sentimenti, riusciva finanche a esporsi come una statuina. Appoggiata su un centrino ricamato e forse anch’esso antico, somigliava molto a quelle scimmiette con le mani sulla bocca, sugli occhi e sulle orecchie. Era tutte e tre le scimmiette sul comò, e non aveva nessuna intenzione di parlare, men che meno di sentire. Figurarsi di guardare. Piuttosto se ne sarebbe stata con le braccia incrociate a nascondersi la faccia. Sarebbe andato bene anche starsene sotto la sabbia con la testa. Quel tanto da togliersi di mezzo, quel poco da distogliere da approssimative e false convinzioni.

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