Appassionarmi ad un libro mi consente di scoprire cose che non conosco, anche di fatti e persone che intorno a quel libro ruotano per qualche motivo. Quando un libro mi piace divento curiosa. Voglio trovarne i risvolti, approfondirne i retroscena. E non parlo del lavoro di fino che fanno gli autorevoli, quelli che studiano sul serio, i letterati, gli intellettuali. Parlo di una curiosità più terrena, come si usa dire di questi tempi, più di “pancia” che di testa, forse anche un po’ “gossippara”, simile, cioè, a quella che spinge la gente a spiare la vita degli altri. Solo che qui il soggetto e l’oggetto per così dire “spiati”, Proust e il suo romanzo, di per sé elevano un po’ il tutto dalla terra, nobilitando a mio avviso la pratica. Non di rado in questa attività di “spionaggio” mi capita di imbattermi per caso in scoperte che mi sorprendono come quella, ad esempio, che Natalia Ginzburg ha tradotto la prima parte della Ricerca del tempo perduto, “La strada di Swann”, a soli vent’anni. Me ne stavo lì a ricercare le mie notizie su Proust quando mi imbatto in un estratto di un saggio della svrittrice, “Come ho tradotto Proust” (La Stampa – 11 dicembre 1963) in cui scrive:

“Tradussi le prime pagine, avanzando così alla cieca, inoltrandomi nel labirinto di quelle frasi lunghissime, curiosa più di me che del senso di quelle frasi, spiando in me le capacità che avevo di portar le parole da un linguaggio all’altro; e quando ebbi finito di tradurre le prime quatto pagine, le diedi da vedere a mio marito, Leone Ginzburg, il quale mi disse che erano tradotte assai male. Allora, lentamente, ricominciai. Mio marito m’aveva spiegato che dovevo cercare ogni parola nel vocabolario, ogni parola, anche quelle di cui sapevo benissimo il significato, perché poteva, il vocabolario, suggerire una parola più precisa e migliore. Così mi diedi a tradurre lentissimamente. Mi fermavo ora a lungo, interminabilmente, su ogni parola. Ma avevo smesso il pensare a me stessa: e nella grande lentezza con cui mi muovevo, ero tuttavia trascinata da un impeto di gioia profonda, perché avevo preso ad amare i labirinti di quelle lunghe frasi: non dovevo spezzarle, sapevo ora che non dovevo mai spezzarle; e quello che più mi stupiva era, in me, il ritmo rapido, gioioso e possente che mi portava sul filo di quelle frasi così lunghe, il ritmo profondo e gioioso che sentivo vibrare in me anche nella noia di scartabellare il vocabolario”

Tutto cio’ mi rapisce, trattenendomi nella voglia di ricercare altri particolari. Scopro così che Natalia Ginzburg ha impiegato otto anni per completare questa traduzione. Durante la guerra. Anni difficili con vent’anni e tre figli. E un marito morto per le torture subite durante la prigionia dei nazisti. Ma lei ci riuscì e se oggi tutti riconducono a Proust l’inizio della Ricerca – “Per molto tempo, mi son coricato presto la sera” – lo si deve a lei. Ecco, questi fatti mi sorprendono. E del resto…:

“Questa mia traduzione è nata nelle circostanze seguenti. Nel ’37, Leone Ginzburg e Giulio Einaudi mi proposero di tradurre À la recherche du temps perdu. Accettai. Era folle propormelo e folle fu da parte mia accettare. Fu anche, da parte mia, un atto di estrema superbia. Avevo vent’anni. Non avevo mai tradotto niente. Ero, allora, nello stesso tempo spavalda e insicura. Essendo insicura, cercavo delle sicurezze. Proust e la Recherche mi attraevano fortemente (ne avevo sentito parlare in casa) ma ne avevo un’idea confusa e non ne avevo letto una sola riga. Quanto a Giulio Einaudi e a Leone Ginzburg, non so cosa li abbia spinti ad affidarmi quella impresa immane. Era un’epoca in cui a volte si progettavano cose folli.”

Prefazione di Natalia Ginzburg a “La strada di Swann” Edizione Einaudi (Collana “Scrittori tradotti da scrittori”.)

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