La loro era stata per lo più una storia di occhi. Occhi negli occhi. Occhi per occhi. Occhi sugli occhi. In una somma di momenti sbagliati, di andate e ritorni. E per lo più ritorni. Tra porte chiuse troppo presto e di direzioni opposte, alla fine di scale scese parecchio di fretta. La loro era stata una storia di attimi diventati ore, scivolate in giorni, annegate in mesi.
Una storia di occhi, di porte e di scale.
Si erano visti mentre una porta si chiudeva. L’uno di fronte all’altra, nell’attimo prima di una partenza, entrambi dall’altro lato di un vetro chiuso prima del momento giusto. Un’occhiata inaspettata, riflessa nel vetro del treno delle diciannove che lui aveva perso mentre lei, un attimo prima, preso. Uno sguardo intrappolato nel vetro di una porta chiusa, rimasto impresso sulla sua immagine riflessa. Che lei adesso guardava fissa mentre alberi, strade e case scorrevano veloci in sottofondo.
Quegli occhi erano lì, nei suoi che guardava nel vetro. Nonostante quegli alberi, quelle strade e quelle case. Nonostante l’altra parte della vita. Le restarono dentro senza essere invasi da quella vita. Appartati, ma vivi.
Poi la loro, che era anche una storia di coincidenze e di orari, di minuti e secondi che si incrociavano a volte nel momento giusto, li aveva fatti ritrovare, sempre lì, in quel treno delle diciannove, partito in orario e che entrambi avevano preso, e dunque non perso, nello stesso momento.
Dopo quel primo sguardo, lei sentiva l’imbarazzo del secondo che, memore del primo, si ritraeva con maggior timidezza rispetto a quello, troppo intenso e sfacciato. Così si voltava mentre lui la fissava, e lo fissava quando lui si voltava. Quegli occhi si rincorrevano alla velocità del treno sui binari, danzando al ritmo di brevi e pericolosissimi incroci. L’arrivo alla fermata diventava una salvezza e l’apertura delle porte le faceva venir voglia di allontanarsi in gran fretta da quella sensazione forte di vita.
Le restavano, gli occhi, come gallerie. Profonde e lunghe e nere. Dove ricercava quegli altri di occhi, dove li ritrovava, dove ci entrava, a nuotarci come in un mare. E solo lì, in quella profondità, i suoi diventavano forti a reggerlo tutto il peso del loro sguardo.
Poi la fantasia si dileguava immediata, quasi risucchiata in un mondo irreale e sconosciuto, appartato in quell’angolo, a dar spazio alla vita sua. Quella vera, tornata.
Furono cosi’ mesi di incroci e di corse. A sfuggire e a cercare. E a cercare per di nuovo sfuggire. A voltarsi senza un perché. A fissare. Per poi sospirare e salire. E riconoscersi, rivedersi, ritrovarsi. Sempre e solo con gli occhi. Ad inseguirsi e sfuggirsi e allontanarsi e sospirarsi. Furono mesi a riconoscersi senza conoscersi.
Capitò poi che una sera lui decise di toccarla, lì sulle scale che lei saliva di spalle e di fretta. E nello stesso istante lei decise di spostarsi di lato, lì, a lasciarlo passare.
La sorpassò solo sfiorandole il braccio, con gli occhi abbassati, e fu lì su quella scala che i suoi occhi lo videro, un’ultima volta, perdersi nel rimpianto di quel suo movimento sbagliato.
Racconto premiato come finalista al concorso letterario “Racconta le parole” I edizione 2018 organizzato da Xilema.
Bello Ale..spesso le persone parlano delle loro storie di sesso, ma solo in poche sono a soffermarsi sul racconto di una storia di occhi, che credo siano altrettanto comuni..scritto in un modo che ti prende..il compleanno ti ha ispirato alla grande)))
Grazie Nicola!😊